“Fama
o persona, quale ti è più cara?
Persona
o beni, cosa conta di più?
Ottenere
o perdere, cos’è una disgrazia più grande?
L’eccessiva
avarizia porta a grandi sprechi,
l’eccessiva
accumulazione porta a grandi perdite.
Riconosci
la sufficienza: nessuna vergogna.
Riconosci
quando fermarti: nessun pericolo.
Così
puoi durare a lungo.
traduzione
e cura di Augusto Shantena Sabbadini
Quando si approfondisce il lavoro su di sé, è quasi
impossibile non porsi la domanda: “Chi sono?” e realizzare quanto sia difficile
rispondervi. L’azione esteriore assorbe la quasi totalità dell’energia a nostra
disposizione tanto che rischiamo di identificarci con essa, perdendo il
contatto tra mente e corpo e comportandoci per la maggior parte del tempo in
modo automatico. La mente è iperattiva e il corpo subisce passivamente le sue
direttive. L’attenzione è completamente focalizzata all’esterno: sul risultato,
sul mantenimento di un’immagine o di un ruolo, sull’altra domanda che ci
caratterizza: “Cosa sono?”.
La mancata identificazione tra
“Chi sono” e “Cosa sono” genera lo spazio per la formazione dell’ego e delle tante tensioni a cui sottoponiamo il corpo
per soddisfare le sue infinite pretese. Per stare bene è importante accogliere
la propria natura nella sua totalità di materia e spirito, ed il corpo si rivela
in questo lavoro un valido aiuto. Studiare e ascoltare la fisicità significa
aprirsi alla comprensione del cuore, che attraverso il corpo si manifesta.
Questo passaggio stimola una consapevolezza profonda della disarmonia esistente
tra “chi sono” e “cosa sono” in quanto la presenza di stati di disagio, che
emerge da un ascolto consapevole, illumina la discrepanza tra lo stato fisico e
uno stato mentale che spesso tende ad ignorare il malessere a favore del
soddisfacimento di desideri e obiettivi materiali considerati prioritari.
Questa reiterata tendenza a trascurare i segnali del corpo ci ha resi,
gradatamente, insensibili ad essi, allontanandoci, inevitabilmente, dalla nostra
essenza. Il ritmo frenetico che scandisce le nostre vite ne è un esempio eclatante:
difficilmente siamo in sintonia con il ritmo della natura dettato
dall’alternarsi di luce e buio e delle stagioni. All’attività segue raramente
un adeguato riposo, l’alimentazione è spesso disordinata e il lavoro si svolge
uniformemente durante l’arco dell’anno, senza prestare particolare attenzione
alle condizioni climatiche e ai conseguenti cambiamenti del corpo. Il malessere
generalizzato che caratterizza la civiltà attuale è la manifestazione tangibile
del profondo smarrimento che coinvolge l’uomo a causa di questo atteggiamento.
Gli antichi testi cinesi insegnavano come prendersi cura di sé, nutrendo
il corpo e ritirandosi nell’assenza di pensieri per alimentare il cuore e la
naturale spontaneità di adattamento al movimento della vita. Il ritorno all’ascolto
del proprio corpo diviene, quindi, la strada diretta e più semplice per
arrivare al cuore e tornare a vedere le cose così come sono, nella loro infinita
rete di relazioni e movimento, dove il cambiamento non è più fonte di
instabilità, ma il semplice fluire della vita.